Disabili e terza età, servizi sociali sotto accusa

Rapporto sulla situazione dei disabili anziani redatto da una rete di associazioni milanesi. L’obiettivo: creare un’unità valutativa trasversale ai servizi che risponda alle esigenze familiari e dei singoli

MILANO – In base alle stime ottenute da un’indagine sulle condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari, svolta tra il 2004 e il 2005, in Lombardia le persone con disabilità dovrebbero essere 337 mila, di cui 266 mila con un’età superiore ai 65 anni. Dati Istat risalenti al 2001 stimano peraltro che in Lombardia le persone con disabilità sarebbero il 4,1% sul totale della popolazione. Ma i servizi sociali riescono a rispondere alle esigenze dei disabili che entrano nella terza età? Secondo una “rete” di associazioni che opera nel territorio la risposta è “no”. Dal dissenso di queste associazioni è nato un documento. Il lavoro comune è stato presentato oggi in occasione del convegno “La persona con disabilità diventa anziana” che si è tenuto nella sede della Caritas ambrosiana a Milano.

Gli esperti che hanno preparato il “rapporto” sulla situazione dei disabili anziani a Milano sono Silvia Borghi ed Elisabetta Malagnini (Caritas ambrosiana), Maria Luisa Papetti (Anffas Milano), Guido De Vecchi (Oltre noi… la vita), Paola Maestroni e Maurizio Cavalli (Consorzio Sir), Lino Lacagnina (direttore Fondazione Don Gnocchi e presidente Ciessevi), Nenette Anderloni (Fondazione Idea Vita), Carla Torselli (Anffas Pavia), Stefano Fava (Aias Milano), Giovanni Merlo e Gaetano De Luca (Ledha), Laura Belloni (cooperativa Diapason). Ciessevi ha supportato l’iniziativa curando la pubblicazione del lavoro svolto e valorizzando la “rete” delle associazioni coinvolte.

I servizi sociali vengono posti sotto accusa partendo dal fatto che gli interventi prendono in considerazione le “categorie” degli utenti e non le esigenze dei singoli. «La persona con disabilità che diventa anziana – si legge nel documento presentato dalle associazioni – ha diritto a una vecchiaia dignitosa e rispettosa delle scelte di vita che il singolo, la famiglia e i servizi hanno operato nel divenire dell’insieme dell’esistenza […]. Le associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari si trovano oggi nella necessità di riaffermare con forza questo principio alla luce di quanto sta accadendo nei nostri comuni. Il diritto a invecchiare serenamente da parte delle persone con disabilità non appare oggi garantito dalle pratiche amministrative e gestionali dei servizi: la tendenza prevalente è quella di appiattire i bisogni delle persone con disabilità, una volta raggiunti i sessantacinque anni di età, sulla “questione residenzialità”. Una situazione che prevede sempre più di frequente il ricovero in strutture per anziani una volta compiuti i sessantacinque anni».

La generazione delle persone con disabilità che oggi si affaccia alla terza età è la prima, nella storia del nostro Paese, ad aver vissuto gran parte della sua vita fuori dagli istituti. E ha il diritto di mantenere consuetudini e legami affettivi, fruendo di opportunità di relazione e di svago. Nel documento, vengono definite “prevaricazioni” «quegli interventi che forzano la natura delle persone per rendere compatibili i loro comportamenti e caratteristiche con modelli di servizi prefissati». Viene osservato che, mentre alle persone senza disabilità non capita di dover cambiare stile di vita al compimento di una certa età, alla persona disabile l’ente pubblico, al compimento dei sessantacinque anni, offre i servizi previsti per gli anziani e preclude, di norma, quelli previsti per i disabili anche se la persona ne sta usufruendo e le sue condizioni di salute non richiederebbero alcun intervento né alcun cambiamento di stile di vita.

Le associazioni firmatarie del documento rilevano anche che «le delibere regionali sui servizi sociosanitari spingono gli enti gestori a progettare e realizzare servizi che, per sopravvivere economicamente, accolgano il numero massimo delle persone consentito, mutuando, seppure in forme ridotte, lo stile gestionale dei vecchi istituti di ricovero»; che «in questo contesto, diventa difficile, perché non viene valorizzato, garantire il rispetto delle specifiche esigenze della persona e la sua qualità della vita» e che «forzare una persona con disabilità che conserva buone capacità di autonomia ai regimi previsti per anziani non autosufficienti è un atto di violenza e di mancanza di rispetto per la persona». Per fare un esempio, le vacanze estive sono finora previste per minori e adulti con disabilità solo fino al compimento dei sessant’anni. «Negando la vacanza – si legge nel “rapporto” -, viene negata la possibilità di continuare a coltivare relazioni ed esperienze importanti per la qualità della vita della persona, che si prolunga bel oltre le due settimane passate al mare o in montagna».

Viene quindi auspicata l’attivazione di una unità valutativa delle problematiche familiari, trasversale ai servizi, che possa tenere conto delle esigenze familiari e dei singoli che si evolvono con il passare del tempo e che rappresenti un punto di riferimento unico e stabile per la presa in carico. Inoltre, si rende necessaria la preparazione di un “percorso” verso la terza età che possa prevedere, fin quando possibile, per le persone con disabilità il mantenimento della propria condizione di vita in casa o nel servizio residenziale, indipendentemente dai passaggi di carattere amministrativo, sperimentando la creazione, presso le Rsa, di speciali nuclei di residenzialità dotati di servizi infermieristici generali e di attività diurne, in modo da rendere graduale e naturale il percorso di vita verso la vecchiaia. (Sandra Tognarini)

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