Festa della Repubblica

Per una comunità educante

Intervemto di Simone Dal Pozzo.

Comunità: passarsi la luce da una mano all’altra (il sindaco e il presidente del CAI)

Il tema della marcia di quest’anno sembra riassumere il cammino percorso nei quattro precedenti.

Pace, solidarietà sociale, corresponsabilità, legalità, dignità sociale, uguaglianza, libertà, diritti della persona: non sono, forse, questi quei valori ai quali si ispira una comunità che voglia definirsi educante? 

L’aspetto, però, che tutti li lega è sicuramente quello della relazione.

Una relazione in un duplice senso. Nel senso di un legame stretto con la festa della Repubblica che celebriamo e nel senso del rapporto tra persone che i vari temi ci hanno suggerito.

(La pace presuppone un certo tipo di rapporto tra persone; così la corresponsabilità che esige un lavorare e un fare insieme a vantaggio di altri con i quali comunque si interagisce; e così, ancora, per la libertà e per le altre “discipline” di questa scuola di relazioni che oggi è, tutta insieme, al centro della nostra attenzione e della nostra riflessione al termine di questo cammino).

Lo stesso camminare, del resto, come ci ripetiamo oggi al termine della quinta edizione, è una pratica applicazione del fare comunità; è esso stesso la metafora di una strada che va necessariamente percorsa insieme non per il gusto di farlo, non con la cieca convinzione che le identità diverse non esistono e, quindi, uno si annulli nell’altro, ma nella fiduciosa aspettativa che il rispetto dei ruoli o, più semplicemente, della persona possa, quanto prima, costituire la premessa forte di rapporti veri.

Si è detto in questi giorni che la verità non è una e per sempre, non è immutabile e sempre uguale per tutti; si è detto qualcosa di più attraente: la verità la costruiamo insieme.

Allora, non è forse questa la sfida che abbiamo voluto affrontare? La mia risposta è sì e vi spiego perché guardando indietro.

Giunti al quinto anno sembra quasi doveroso fare un primo bilancio. E’ una di quelle scadenze che impone di sostare e capire se siamo sulla strada giusta, se è necessario correggere il tiro, se la città alla quale volevamo rivolgerci ha risposto e in che modo, se, infine, è il caso di lasciar perdere.

Per tentare di darci una risposta e a conferma di quanto detto all’inizio, appare sin troppo chiaro che ogni fiaccolata – collocata al termine del percorso dei forum – è stata una manifestazione reale di una comunità che educa e si educa, è stata, per dirla con La Valle (ospite al convegno dell’AC) una occasione educativa.

Tutto sta a vedere se l’occasione è stata colta o se, invece, è stata lasciata andare, scorrere inutilmente senza trarne una qualche suggestione.

La cosa certa è che è stata sempre e comunque un segno che si rafforza sempre più per la sua continuità, per il fatto che, anche nonostante l’inclemenza del tempo, si va avanti, si procede, si continua a chiamare e ad avere risposte.

Il forum di quest’anno, intitolato proprio al tema dell’educazione, declina e propone il problema in una forma chiarissima; ci parla di un progetto educativo condiviso e, quindi, di un progetto educativo che è la comunità stessa e ad essa si rivolge.

A partire, come ho precisato, dalla relazione.

Un rapporto che, in qualche modo, è iscritto nella persona stessa, una identità chiara che attende solo di essere sollecitata e, finalmente, praticata.

Riflettiamo solo sul fatto che la persona, ogni persona, non è che l’effetto di una relazione tra le parti di cui è composta e ogni parte, a sua volta, è il collegamento tra parti ancora più piccole che la compongono e così via fino alla particella che noi crediamo più piccola ma che, forse, non è quella veramente più piccola.

Del resto gli studi più recenti dimostrano che la legge fondamentale della natura è proprio quella della relazione e che, addirittura, esiste un meccanismo di base fisiologico – dice Rizzolatti citato da Mancuso nel suo libro sull’anima – in base al quale la felicità altrui è anche la propria.

Questa è la ragione per la quale alla relazione, di cui siamo fatti, non si può non rispondere che con la relazione. Se non è così andiamo contro la nostra stessa natura. L’uomo è, infatti, uomo per l’altro perché egli stesso è il frutto, l’effetto, l’esito di un rapporto fra parti e, in fin dei conti, della relazione tra chi lo ha generato e messo al mondo.

Ecco perché noi non vogliamo una comunità assente, chiamata solo a regolare o a stabilire le distanze tra solitudini quotidiane, a disciplinare – con una legge innaturale – i rapporti tra paure e insicurezze, tra identità che non si incrociano, spesso solo per la paura di confondersi e di scoprirsi, tra isole geograficamente vicine ma sostanzialmente lontane.

Ecco perché siamo per una comunità nella quale ciascuno, come singolo e nelle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità,  assume il noi (ce lo ricordava Ciotti tre anni fa) non come una camicia di forza, ma come occasione di crescita, capisce l’impossibilità di esistere senza uscire da sé e andare incontro, magari svuotandosi, all’altro, si rende conto che l’essere con – per dirla con Ravelli – diventa parte costitutiva del suo stesso essere e la domanda “con chi stai?” (nel senso di “insieme a chi stai?”) si confonde con quella di chi chiede e si chiede “chi sei?”.

Gli uomini come noi li desideriamo, gli uomini con che fanno della relazione il proprio modo di essere, l’occasione di incontro e di scambio con l’altro (a partire da chi gli è più vicino), per esistere hanno bisogno di una comunità educante che sia alimentata e contraddistinta da un linguaggio forte e robusto che è quello della testimonianza, di un ascolto non solo teorico del tu, della rinuncia all’azione solitaria e all’auto affermazione.

Hanno bisogno, in fin dei conti, di fare relazione e, quindi, di fare comunità; una comunità prodotta non da chi insegna o dirige – dice ancora Ravelli – ma da chi domanda, accoglie, ascolta, accompagna, conforta, quando è necessario.

La forza di quello che dico – ed è questo l’aspetto che più mi entusiasma – non sta nella persona di chi parla (figuriamoci!) né nelle parole e nelle teorie che sembrano ispirarle ma nei fatti.

Tutto ciò che dico, per chi osserva bene, è la trama sulla quale si collocano tutte le iniziative del forum, pratica e concreta dimostrazione di quello che si dice e, al tempo stesso, riferimento per quello che si fa.

Pensate un po’ agli incontri sull’educazione promossi dall’Azione Cattolica, pensate al convegno promosso dall’Editrice La Scuola o all’assemblea di sabato scorso per la ricostituzione del gruppo di volontari della protezione civile.

Pensate, soprattutto, alla traduzione in carne e ossa di quello che in quelle riunioni è stato detto: la seconda edizione della manifestazione “Insieme…per stare bene”, le numerose occasioni di amicizia tra noi e  gli ospiti arrivati da l’Aquila, il gemellaggio con la scuola aquilana e la partecipazione al meeting nazionale di Assisi, la celebrazione del ritorno a casa dei corali del Trecento, la manifestazione del prossimo 13 giugno quando Guardiagrele sarà la capitale della musicoterapia, una delle strade più interessanti da noi praticate per l’inclusione dei diversamente abili.

Questa è la comunità che si educa alla scuola dell’incontro con l’altro, della collaborazione per raggiungere un comune risultato, fosse anche quello del solo stare insieme, che si riscopre non come somma di identità sconnesse, ma che fatica per cercare l’altro senza pregiudizio, senza idee che restano senza verifiche, senza presunzione di autosufficienza.

Le iniziative concrete che hanno abitato e abitano i nostri forum , allora, diventano il tentativo – non ancora disperato – di superare la barbarie del rifiuto del dialogo e della rottura con l’altro per arrivare, finalmente, a costruire uno spazio condiviso, abitabile e abitato da tutti.

Queste occasioni di comunità ci hanno insegnato che la differenza può e deve diventare momento di crescita, situazione di ascolto dell’altro che – per dirla con Bianchi – va colto come è e come si narra e non come io credo che sia, di fronte al quale ciascuno si apre, non per acquisire informazioni, ma per coglierne il racconto completo.

Con questo bagaglio vogliamo candidarci a costruire un impianto sempre valido, un tessuto che sia capace di dare risposte in ogni situazione, anche di emergenza.

La prova che c’è una comunità che educa e si educa alla relazione, come ho detto, ci è stata data nelle diverse occasioni del forum. E’ vero, nelle altre edizioni della marcia abbiamo posto l’accento sul senso diffuso che tinge di nero la storia che viviamo: l’abbiamo detto quando abbiamo parlato di legalità, l’abbiamo detto lo scorso anno a proposito del contrasto che viveva e forse ancora oggi vive la nostra città.

L’esperienza di questi mesi, però, mi porta a guardare ai segnali positivi di una città sveglia, pronta, che attende solo di essere sollecitata ad assumere sempre più decisamente i tratti di una comunità.

L’impianto di regole, di sensibilità, di convincimenti, di tensioni ideali, di valori che vogliamo costruire insieme è, allora, il frutto di un lavoro fatto certamente insieme, ma, soprattutto, di uno sforzo che sappia ispirare l’agire non solo in situazioni di ordinaria amministrazione, ma anche nelle situazioni di emergenza.

E’ in quell’emergenza – se e quando arriverà – che avremo la prova che ciò che si è costruito è sempre valido e non può essere accantonato proprio in quei frangenti.

Non vogliamo essere quelli della regola che fugge e muta di fronte alla difficoltà, ma quelli dei principi costruiti insieme; principi che, magari, possono trovare espressioni e declinazioni diverse nelle diverse situazioni ma che restano, sempre e comunque, ispirati al fondamentale valore della relazione tra persone.

Questa è, in fin dei conti, la verità di cui ho detto all’inizio: una verità non assoluta, ma che si costruisce giorno per giorno, certamente una articolazione, un modo di essere dell’ascolto, dell’incontro, dell’integrazione e dell’inclusione e non certamente dell’arroganza, dell’autosufficienza, dell’esclusione.

E’, in fondo, lo stile della vita democratica nella quale siamo immersi, nonostante i segnali negativi che pure dobbiamo imparare a leggere e a indicare per la responsabilità educativa che investe ciascuno.

La continuità e la immutabilità (seppure con declinazioni e sfumature diverse) delle regole fondanti che vogliamo darci guardano ad un esempio più grande di noi: guardano al mare del quale, come gocce, siamo parte e di cui neanche ci accorgiamo, guardano all’aria nella quale, come minuscole particelle, siamo immersi.

Guardano, poi, al linguaggio denso e corposo delle regole fondamentali su cui poggia la vita delle nostre istituzioni democratiche, della nostra comunità, in definitiva;  guardano, quindi, ad una società fatta di relazioni che per vivere ed esistere (per essere) ha bisogno di testimonianza, cioè – per dirla ancora con Ravelli – di durata nelle persone che la animano, di tempo sedimentato e di vite investite responsabilmente. Non di uomini in fuga. Di presenze effimere.

Guardano, in definitiva, proprio a persone che non erano in fuga, a  quelli che, conclusa la lotta per la liberazione, consentirono l’approdo alla forma repubblicana – che è cosa di tutti – e, quindi, alla Costituzione.

Vogliamo fare nostro lo stile della Resistenza al nazifascismo e a ogni totalitarismo, vecchio o nuovo, apparente o nascosto, in divisa o in borghese, con il bastone o con la carota.

Vogliamo riappropriarci dello stile che fu della Costituente, dove il compromesso aveva il senso di una promessa fatta insieme, di una regola destinata a durare nel tempo perché costruita insieme e non il senso dell’inciucio, dell’inganno, della fregatura, della decisione presa sopra la tua testa.

Vogliamo tornare ad essere eredi attivi del patrimonio nato dalle ceneri della dittatura, coniugando nel tempo presente e in questa città le regole della Costituzione.

Vogliamo riscoprire anche nella storia iniziata il 2 giugno di 63 anni fa l’identità di persone che hanno realizzato e compiuto nello scrivere la Costituzione lo sforzo di una condivisione, hanno superato la tentazione di sostituire all’alterità – per dirla ancora con Bianchi – l’opera delle proprie mani e del negare l’altro per imporre il proprio io.

Vogliamo seguire l’esempio di persone che hanno potuto e saputo dire una parola vera, profetica, per certi versi, franca, perché affondava le sue radici non nell’autorità di un principio indimostrato, ma in un vissuto e le hanno rese capaci di dialogare con tutte le persone di ogni luogo e di ogni tempo.

Questo vogliamo essere, carne e ossa di quelle regole che la Carta ha scolpito sulle tavole di una storia spesso dimenticata, ma anche racconto credibile che costruisce l’identità plurale di una città che cerca e si cerca, che educa e si educa, che ascolta e pratica la cultura della relazione come gli eventi del forum hanno dimostrato.

Per fare questo continueremo a costruire ponti di comunicazione e di confronto sui quali ognuno sarà chiamato a camminare, proprio come questa sera, con lo stesso impegno e la stessa disponibilità (dove anche i rapporti di autorità saranno visti e vissuti come rapporti di servizio).

Su questi ponti ognuno si sforzerà di comprendere l’altro e, soprattutto, di fare verità aprendosi al confronto, alla parola franca, forte, come appena detto, di una vita vissuta, fatta di esperienze condivise, fatta di mani che si stringono e di sguardi che si incontrano, di parole dette e ascoltate, di gesti concreti che guardano soprattutto alle difficoltà e delle povertà, vecchie e nuove.

Questo è quello che avevano in mente i partigiani, i patrioti della Maiella, i padri costituenti; questo è ciò che nella Costituzione è scritto e chiede solo di essere letto, questo è l’impegno che vogliamo assumere.

Per questo, come ogni volta tutti insieme diciamo:

Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva la Costituzione!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.