Mettere al centro il Bene Comune

Intervista con Monsignor Gincarlo Bregantini di Antonio Ruggieri Megachip

La politica e la sua esperienza calabrese. I temi attuali della Bioetica e la rinuncia del Papa a partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico a “la Sapienza” di Roma. La malavita organizzata e l’impegno concreto per dare lavoro ai giovani. Il clientelismo, il terremoto e le aree interne di una comunità, quella molisana, minacciata dal decremento demografico. Un intenso incontro col nuovo Vescovo della Diocesi di Campobasso/Bojano che guarda poco la televisione ma ascolta la radio.


Per i Vescovi l’età della pensione arriva più avanti di come siamo abituati a pensarla.Monsignor Bregantini, “Padre Giancarlo” come ama essere chiamato, arriva nella Diocesi di Campobasso/Bojano all’esordio dei sessant’anni.Nella piena maturità della sua missione pastorale, coltivata in venticinque anni di difficile ma feconda permanenza in Calabria.

Nel 1994 è stato eletto Vescovo nella Diocesi di Locri/Garace ed ha saputo diventare punto di riferimento per la Calabria che lotta disperatamente contro la ‘Ndrangheta, abbandonata da uno Stato assente e distratto, quando non addirittura connivente con la malavita organizzata.

La stella polare del suo impegno ecclesiastico è la dimensione sociale e civile delle comunità nelle quali è chiamato ad operare.

Ha fatto il prete operaio a Marghera e nella Locride ha costituito il consorzio di cooperative “Valle del Bonamico” nella convinzione che l’opportunità di un lavoro dignitoso sia l’arma migliore e maggiormente proficua per contrastare l’anti-Stato criminale.

Il suo arrivo nella comunità molisana è stato accompagnato da una domanda reiterata e stupefatta rivoltagli da più parti: “per quale motivo le gerarchie ecclesiastiche romane l’hanno mandata via dalla sua Locride?”

Padre Giancarlo risponde con zelo e precisione; come chi ha preparato accuratamente una “linea di difesa” plausibile e formale che lo sottragga al lieve imbarazzo che inevitabilmente genera la facile dietrologia della domanda.

L’appuntamento per l’intervista che gli abbiamo rivolto ci era stato fissato per le 19, 30 di martedì 12 febbraio, da Andrea De Lisio che coordina l’Ufficio di comunicazione della Curia; a un orario non canonico per incontrare la massima autorità religiosa di un territorio.

È che Padre Giancarlo risponde a tutti; non si nega a nessuno.

Gira nelle carceri e negli ospedali, va al “laboratorio aperto per la salute mentale” e nelle case famiglia.

Prima di noi ha incontrato i medici cattolici che abbandonano alla spicciolata l’Arcivescovato di via Mazzini a Campobasso a piccoli gruppi, entusiasti e strabiliati dalla dolce e concreta comunicativa del nuovo Vescovo.

L’intervista comincia in ritado, intorno alle 20, 45, dura un’ora circa e si conclude alle 21, 30 e Padre Giancarlo è atteso da altre quattro persone che vogliono incontrarlo.

Cominciamo con la solita e “sospettosa” domanda che va per la maggiore.

Chi la sostituirà nella Locride?

È difficile dire chi mi sostituirà, le consultazioni sono ancora in corso. Questi che stanno trascorrendo sono i tempi normali e si vedrà in seguito come andranno le cose. Credo che abbiano davanti una rosa di nomi che dovranno essere valutati.

Perché pensa l’abbiano trasferita?

Credo che la risposta che diedi alla stampa quando avvenne questo fatto i primi di novembre sia quella che meglio rappresenta ciò ch’è accaduto. Io venni a presentare a Sepino proprio i primi del luglio scorso il Sinodo dei Vescovi molisani; 15 giorni dopo Monsignor Dini (il Vescovo precedente della Diocesi Campobasso/Bojano ndr) compiva 75 anni e immediatamente chiese di essere collocato a riposo. La Santa Sede chiese ai Vescovi del Molise, come è nella prassi, di suggerire dei nominativi e forse anche su indicazione di Monsignor Dini essi hanno fatto il mio nome. Quest’indicazione è stata raccolta, c’è stata la plenaria dei Cardinali e Vescovi che decidono queste cose e lì hanno recepito subito la mia candidatura. Hanno composto la terna entro la quale si è trattato di scegliere. Nel giro di due mesi, alla fine di settembre, l’incarico mi era già stato assegnato.

Lei è stato a Crotone e poi è stato ordinato Vescovo nella Diocesi di Locri/Garace; si è impegnato a fondo nel contrasto della ‘Ndrangheta. Dal suo osservatorio privilegiato ha rilevato una commistione d’interessi fra la politica e la criminalità?

Non diretta. Nel senso che la criminalità ambisce a spazi di potere e quindi cerca di utilizzare la politica per i propri scopi. La politica però cerca di non essere contagiata, sarebbe troppo ingenua se accettasse di farsi “colonizzare”. Le alleanze si saldano per diverse ragioni: la ‘Ndrangheta fiuta subito, immediatamente, dove c’è da investire e da guadagnare molto denaro; fa in modo che i suoi progetti vadano a buon fine giocando sui condizionamenti forti della politica. Non che la politica sia collusa, però è facile che certi condizionamenti producano le loro conseguenze. In alcune realtà forse i politici hanno giocato in maniera superficiale, facendo delle avances alla ‘Ndrangheta per avere in cambio voti.

Questo però, naturalmente, non è né esplicito né dichiarato.

Le pare che la politica abbia subito un processo di degrado nel nostro Paese? Se si perché dal suo punto di vista?

Il processo di degrado è stato evidente anche durante la recente crisi di governo.

Ritengo molto grave che interessi personali e familiari abbiano condizionato in maniera così pesante la politica di un intero Paese e soprattutto abbiano intralciato l’intento bene avviato di riformare la legge elettorale. Credo che tutta questa vicenda non abbia affatto avuto al centro il bene comune .

Questo è gravissimo e penso che i giochi personalistici che puntano a trarre vantaggio particolare da un momento della vita del Paese così importante e drammatico, siano inaccettabili.

Gli interessi personali sono più forti degli interessi collettivi e comunitari; è questo il profilo più evidente della profonda crisi della politica italiana.

Come ha reagito alla vicenda della mancata “lectio magistralis” di Benedetto XVI a la Sapienza?

È una cosa complessa; certo la vicenda forse andava meglio gestita da parte del Rettore Guarini; avrebbe dovuto coinvolgere i docenti, dall’altra parte forse hanno esagerato. Probabilmente con più tempo si sarebbe potuto mediare anche con l’ascolto dell’intervento che il Papa avrebbe letto.

Sono convinto che c’erano margini per gestire la vicenda in maniera più misurata.

La presenza del Papa andava preparata e d’altra parte il Vaticano avrebbe dovuto spiegare che il Papa non si impone ma si propone.

Anche Giovanni Paolo II quando andò a la Sapienza ebbe dei fischi, ma con il suo savoir faire rispose: “vi ringrazio per la rumorosa accoglienza che mi avete riservato”.

Probabilmente questo andava fatto in quel momento, stemperare la cosa.

Andava adottata una gestione più intelligente e serena dell’evento.

Anche perché la grande controversia intorno a Galileo è ormai superata . La famosa frase di Galileo “Io non spiego come si vada in cielo ma come vada il cielo” è ancora vera; la scienza non spiega come si vada in cielo, questo è compito della teologia. Ma bisogna intrecciare “come si vada e come vada”; un intreccio che io chiamo “trama” e “ordito”, nel senso che la teologia fa un pezzo di strada e un altro pezzo di strada la fa la scienza, si compongono insieme e da qui la grande risposta di cui l’umanità ha bisogno.

Come commenta la recente posizione del Papa che ha definito i mezzi di comunicazione fonte di edonismo consumista e di “modelli di vita distorti”?

Forse ha guardato anche lui la televisione e avrà visto che le offerte formative sono poche. Soprattutto per quello che riguarda il teleschermo, perché il discorso che riguarda la radio è già diverso. Io ascolto la radio e guardo poco la televisione.

Credo perciò che noi dobbiamo cogliere dall’ammonimento di Benedetto XVI l’importanza di educare tramite la passione per il bene comune e per proposte positive. Questo vale anche per internet. Bisogna curare molto la linea editoriale.

Internet sento che è uno di quei giochi che se c’è cuore buono ne estrai tanto bene, se c’è cuore cattivo ne estrai tanto male.

Condivide l’attacco concentrico che da varie parti è portato contro la 194, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza?

Io credo che bisogna rivederla; il Molise ha bisogno di bambini. In questo momento la denatalità in Italia è un tema così grande di fronte al quale la comunità sociale deve reagire. Capisco i drammi delle mamme, però dove la maternità può essere portata avanti anche con sacrificio, bisogna fare in modo che sia protetta e accompagnata.

La 194 deve andare in aiuto alla famiglia; c’è bisogno di una legge che aiuti il Paese, bisogna aiutare a dare la vita e non a interromperla. Tante ragazzine che con un aiuto avrebbero potuto portare avanti la gravidanza, si portano dietro per tutta la vita il dramma di un aborto subito.

Cosa pensa del “testamento biologico” e di misure che consentano ai malati gravi, come per esempio Piergiorgio Welby, di mettere fine alle loro sofferenze su loro esplicita richiesta?

Io credo che la loro fatica debba essere sorretta da una serie di aiuti sociali per mantenere aperta la loro speranza di vita. Anche qui una società che accompagna alla morte è una società morente.

Bisogna fare in modo che chi soffre abbia un aiuto, evitando naturalmente l’accanimento terapeutico. La situazione di favorire la vita e di “accompagnare” gli esseri umani a una buona morte con uno sguardo positivo, è una realtà che alla fine premia.

Non le pare che la Chiesa in questi ultimi mesi stia forzando il rapporto costituzionale fra religione e Stato laico facendo pressione sui parlamentari di fede cattolica?

Io credo che la Chiesa deve spingere ancora di più il Parlamento, perché è l’etica di cui oggi è priva la politica. Bisogna affrontare i grandi temi come il bene comune, gli stili di vita, il riscaldamento del pianeta e l’uso delle sue risorse.

Bisogna avere il coraggio di proporre.

Bisogna lavorare per il recupero del senso assiomatico della parola di Dio.

Pare che oggi la Chiesa ufficiale sia impegnata su altri fronti…

Il problema è questo: su certi temi è eccessivamente presente, su altri invece è carente.

Se si dice: “io difendo la vita in tutte le sue fasi”, allora bisogna intervenire con coerenza.

Nella Locride io ho accompagnato la costituzione del consorzio di cooperative “Valle del Bonamico” alla quale aderiva la cooperativa “Frutti del sole” che subì un grave atto d’intimidazione da parte della ‘Ndrangheta.

La cooperativa produceva frutti di bosco e dei malviventi avvelenarono col diserbante le serre nelle quali erano state messe a coltura le piantine di lampone.

Scomunicai gli autori di questo gesto criminale perché anche qui avevano compiuto un delitto contro la vita; contro l’armonia della natura della quale anche l’uomo e il suo lavoro fanno parte.

Monsignor Dini che l’ha preceduta, nel messaggio di commiato dalla nostra comunità, ha detto che nel Molise c’è troppo clientelismo e che il clientelismo può diventare il viatico per la penetrazione della criminalità organizzata anche da noi; come commenta quest’affermazione e cosa ritiene che la Chiesa possa fare per combattere la soggezione soprattutto dei giovani nei confronti della politica?

È un’affermazione che io ho ascoltato dalla sua viva voce; ovviamente Monsignor Dini è stato qui una decina d’anni e ha avuto la possibilità di capire meglio il tessuto sociale ed economico della regione. Ora io mi sto guardando attorno. Certamente però il clientelismo è una delle armi della malavita. Che fare? Quando un’ azienda assume guarda tre cose: qualità, competenza e flessibilità , in modo che il soggetto sappia adattarsi man mano che il lavoro cambia; capacità di socializzazione, serenità di collocazione e di relazionamento sono ormai qualità imprescindibili per l’epoca che viviamo.

Io credo che i giovani oggi debbano prepararsi su tutti e tre questi versanti, è per questo che non è tanto importante una scuola esclusivamente tecnicista. Ci vuole una scuola nuova che sappia accompagnare e quindi c’è bisogno di persone che sappiano insegnare e che sappiano farsi insegnare. In questa dimensione il politico deve sapere che ha davanti cittadini che sanno proporsi con la consapevolezza dei loro diritti. Bisogna chiedere, perché un ragazzo deve presentarsi con umiltà ma anche con chiarezza e il politico deve imparare a non entrare nell’ottica delle tessere e delle appartenenze.

In una società pratica e di profonde radici rurali come questa, bisogna riscattarsi utilizzando i valori più radicati e sani di questa terra.

Nelle ultime settimane Monsignor Ruini si è adoperato (vanamente) affinché Casini ricomponesse l’alleanza politica con Berlusconi; come giudica quest’attivismo da parte di una delle figure maggiormente rappresentative della Conferenza Episcopale?

Io credo che il gioco delle alleanze politiche sia un gioco che non è il caso di valorizzare; è un gioco perdente e credo che non tocchi a noi Vescovi.

Monsignor Gianfranco De Luca, Vescovo di Termoli, ha trascorso quattro giorni in una baracca di San Giuliano di Puglia, qual è secondo lei il senso di questa iniziativa?

Il senso, dal mio punto di vista, è quello di compiere un’azione di forte impatto.

La politica deve capire che deve mettersi al servizio di chi soffre davvero.

Dal terremoto dell’ottobre 2002 ci sono ancora tante famiglie che vivono nelle baracche; sono disagi che dipendono dalle mancate risposte della politica.

Sono fiducioso che da questa visita vissuta così intensamente nascano provvedimenti che riparino i ritardi accumulati e gli errori commessi.

Bisogna ricostruire un sentimento di partecipazione civica alle dinamiche della democrazia perché in una comunità, se manca la democrazia, manca tutto.

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