Le armi (meno) letali uccidono

a cura di Riccardo Noury, Portavoce Amnesty International Italia

Nell’ultimo quinquennio, con l’esclusione dei periodi di lockdown, il mondo dell’attivismo per i diritti umani è tornato a popolare le piazze. Le richieste? Giustizia, dignità, uguaglianza, fine della corruzione e della violenza di stato.
Pressoché ovunque, la risposta dei governi si è basata non sull’ascolto ma sulla soppressione delle proteste: divieti totali di manifestare, normative pretestuosamente onerose sulle autorizzazioni, blackout di Internet, narrazioni criminalizzanti, arresti preventivi, processi e condanne, ma soprattutto strategie sicuritarie basate sulla militarizzazione dell’ordine pubblico.

Nel suo Rapporto 2022-2023, Amnesty International ha riscontrato l’uso illegale della forza nei confronti di manifestanti pacifici in almeno 85 stati; in 35 sono state usate armi letali (detto più semplicemente, si è sparato per uccidere) e in 67 si è fatto ricorso alle armi meno letali.
Le ricerche delle organizzazioni per i diritti umani che analizzano il comportamento delle forze di polizia durante le proteste sono concordi nel definire estremamente labile il confine tra i due tipi di armi: l’avverbio meno tende a sparire.

A Marsiglia, in Francia, all’inizio di luglio un uomo di 27 anni è stato ucciso da una flash-ball: si tratta di pallottole rivestite di gomma dal grande impatto cinetico che, a detta del produttore, se usate correttamente non uccidono. Dal 2018 Amnesty International chiede che non siano fornite alle forze di polizia.

La formula se usate correttamente dice tutto. Pallottole di plastica e di gomma, gas lacrimogeni, spray urticanti, cannoni ad acqua, pallini da caccia, pistole a impulso elettrico, manganelli, granate stordenti sono armi che, se usate correttamente, consentono alle forze di polizia di usare un livello minimo di forza di fronte a una minaccia.
Prendiamo le pallottole di plastica, quelle che vengono usate al posto dei proiettili veri, come se le prime fossero finte.

Da un esame della letteratura medica disponibile tra il 1990 e il 2017 è emerso che almeno 53 persone sono state uccise da tali armi e che 300 delle 1984 persone ferite hanno riportato danni permanenti. Il numero effettivo è probabilmente assai più alto.

In un rapporto del marzo 2023, Amnesty International e la Omega Research Foundation hanno segnalato un allarmante aumento delle ferite agli occhi causate dall’uso irresponsabile di pallini da caccia. Secondo l’Istituto nazionale cileno per i diritti umani, nel corso delle proteste dell’autunno 2019 l’operato della polizia causò oltre 440 ferite agli occhi, tra cui oltre 30 casi di perdita della vista o rottura del bulbo oculare.

I gas lacrimogeni, a loro volta, fanno morti e feriti. Dovrebbero essere usati dando un preavviso, lasciando vie di fuga e mai in ambienti ristretti o chiusi. Soprattutto, dovrebbero essere sparati in aria. Amnesty International ha documentato casi di gas lacrimogeni esplosi direttamente contro singole persone o gruppi di manifestanti in Cile, Colombia, Ecuador, Francia, striscia di Gaza, Guinea, Hong Kong, Iran, Iraq, Perú, Sudan, Tunisia e Venezuela.

E l’Italia? L’8 dicembre 2011, durante una manifestazione del movimento No-Tav, un candelotto di gas lacrimogeno sparato ad altezza di persona ha colpito alla testa Yuri Justesen, che ha perso per sempre parte dell’udito.
L’uso disinvolto, maldestro e irresponsabile delle armi meno letali pone interrogativi sui processi decisionali di coloro che dirigono le operazioni di ordine pubblico e sulla mancanza di addestramento e di informazioni da parte di chi le usa. Soprattutto, chiama in causa la mancanza di regole.

Attualmente non esistono normative globali sulla produzione e sul commercio delle armi meno letali. Le norme vigenti a livello regionale e nazionale non sono sufficienti a garantire che forze di polizia già note per compiere violazioni dei diritti umani non continuino a ricevere armi meno letali da stati privi di efficaci controlli nazionali su tali commerci; né saranno in grado di eliminare la produzione e il commercio, a livello globale, di attrezzature intrinsecamente atte a violare i diritti umani.

Per questo, Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani chiedono l’adozione di un trattato internazionale che disponga divieti e controlli commerciali globali, legalmente vincolanti, sulle attrezzature in dotazione alle forze di polizia.

Questo trattato dovrebbe vietare la produzione e il commercio di quelle attrezzature utilizzate per l’ordine pubblico e durante la custodia intrinsecamente atte a violare i diritti umani.

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