Un padre separato che decide di dedicare la propria vita alla figlia nata con un ritardo cognitivo. E’ una delle tre storie che ha ricevuto il riconoscimento della Comunità di Capodarco
ROMA – Crescere una figlia da solo, perché la disabilità all’interno di una coppia può anche dividere. La storia di Maurizio è simile a quella di tante altre famiglie che non riescono a sostenere il dolore per la nascita di un bambino con problemi. Una storia, però, esemplare che ha ricevuto per questo dalla Comunità di Capodarco il premio l’ “Anello della Lode”, un riconoscimento simbolico per tutte le famiglie che dedicano dedizione e cura ai figli con disabilità.
“Elisa è stata una bambina molto desiderata, con mia moglie abbiamo tentato per otto anni e poi finalmente è arrivata lei”, racconta Maurizio Nodari. “Il suo ritardo mentale probabilmente è dovuto alle sofferenza da parto, ma non ce ne siamo accorti subito. Il giorno del suo primo compleanno ha avuto le convulsioni , e non capivamo da cosa dipendessero. L’abbiamo portata all’ospedale Bambin Gesù e lì le hanno diagnosticato un iperinsulinismo. Poi a cinque anni abbiamo capito che la bambina aveva dei problemi cognitivi, perché aveva difficoltà a relazionarsi con gli altri, non parlava bene e stava sempre da una parte”. E così insieme alla malattia di Elisa si manifesta a poco a poco anche la depressione della madre. “Mia moglie non accettava questa figlia malata”, continua Maurizio. “E là il suo stato di depressione è diventato sempre più forte. Siamo stati da diversi specialisti poi quando Elisa aveva nove anni, su consiglio dello psicologo abbiamo deciso di separarci, per togliere a lei questo peso”. Da quel giorno è Maurizio da solo a prendersi cura di su figlia. “Nonostante a volte sia difficile occuparsi di lei, Elisa mi dà tante soddisfazioni, è una bambina stupenda e non la cambierei con nessun’altra al mondo”.
E nel suo piccolo paese, Fermentino, in provincia di Frosinone, Maurizio ha deciso anche di farsi portavoce di alcune battaglie per i diritti civili delle persone con disabilità. “Nel 2000 con alcuni insegnanti abbiamo deciso di fare un comitato, che poi è diventato un’associazione di famiglie per i diritti dei disabili. Portiamo aventi diversi progetti occupazionali per questi ragazzi e ora il nostro obiettivo è riuscire a realizzare delle case famiglia”, sottolinea Maurizio. “Il cruccio per tutti i genitori è, infatti, il dopo di noi. Quando non ci saremo più per questi ragazzi potrebbe essere terribile”, continua. “Adesso siamo riusciti a sbloccare una villa già destinata a scopi sociali, grazie anche all’aiuto della comunità di Capodarco e di don Franco”. “Penso che sia necessario che le famiglie si sveglino, non possono aspettare che qualcuno arrivi a risolvere i problemi. Se vogliamo dare un futuro ai nostri figli dobbiamo rimboccarci tutti le maniche”. (ec)