Bologna, a canestro ragazzi con problemi psichici italiani e immigrati

Anche i giovani immigrati di seconda generazione giocano a basket con il progetto sportivo ”Mi passo a te e faccio canestro”. L’allenatore Marco Calamai: ”Un laboratorio multietnico che valorizza tutte le differenze”

BOLOGNA – Si chiamano Marco, Antonio, Paolo ma anche Amin, Anthony, Kevin e Omar: sono i ragazzi con disabilità psichica e disagio sociale che ogni venerdì da un mese si ritrovano insieme per giocare a basket al Palalame di Bologna. Si intitola “Mi passo a te e faccio canestro” il nuovo progetto sportivo che mette insieme i giovani, italiani e figli di immigrati, in carico al Servizio di neuropsichiatria infantile dell”Ausl di Bologna e al Servizio minori e famiglie del Comune. Frutto di un’idea di Sofia Tatu, operatrice del Servizio di neuropsichiatria infantile dell’Ausl, l’iniziativa è nata grazie alla collaborazione tra il Quartiere Navile, l’Ausl di Bologna, la polisportiva Lame e il team di allenatori di Marco Calamai, ex allenatore della squadra bolognese della Fortitudo e impegnato da anni nell’insegnamento del basket ai ragazzi disabili.

Il progetto coinvolge 27 ragazzi (tra cui 5 giovani immigrati di seconda generazione), tutti tra gli 8 e i 17 anni, ma per accedere ai corsi al Palalame si sta già formando una piccola lista d’attesa. “I giovani partecipanti – spiega Sofia Tatu, coordinatrice dell’iniziativa – hanno i problemi più disparati, dalla difficoltà a comunicare a quella di adattarsi alle regole sociali. Giocando insieme a basket imparano a relazionarsi agli altri, a rispettare le regole e a valorizzare tutte le differenze”. Lo stesso titolo del progetto riprende l’idea del gruppo di auto aiuto alla relazione: “’Mi passo a te e faccio canestro’ è la frase che pronuncia la palla da basket, che diviene uno strumento di comunicazione”.

Un “progetto pilota”, quello avviato al Navile, per almeno un paio di motivi: “I laboratori – spiega Calamai – non sono utili solo ai ragazzi disabili, perché si ha a che fare anche con situazioni di disagio, devianza e borderline: ragazzi che non sarebbero interessati a partecipare come ‘utenti’, ma come giocatori sì. Inoltre – continua – ci si confronta anche con provenienze, etnie, religioni e costumi diversi: il progetto parte dal valore della differenza, e questo concetto non è mai stato così forte come nell’esperienza che stiamo facendo” dice il coach. Il risultato è “un laboratorio multietnico da offrire alla città, un esempio di come dovrebbe essere una società globale in cui le persone collaborano tra di loro”. Un valore, dice Calamai, compreso dalla Polisportiva Lame e dal Quartiere Navile (che grazie a un project financing ha ottenuto gli spazi della palestra per il basket), ma non dal Comune di Bologna: “Da cinque anni a questa parte l’amministrazione di Bologna ci ignora, anche se facciamo progetti che hanno un valore riconosciuto a livello europeo”, dice Calamai, che allena i ragazzi disabili in diverse palestre in città e a San Lazzaro. Una situazione che Calamai riferisce anche ad altre realtà del settore: “L’esperienza dell’Atc Dozza, con istruttrici di basket in carrozzina, è in crisi economica, ma resta l’obbligo di pagare l’affitto al Comune: proprio non ci siamo”. (ef)

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