Storia del progetto

Cominciato con una guerriglia rurale nel 1990, il conflitto civile in Rwanda si è trasformato in genocidio nel 1994 e si trascina ancora oggi tra massacri da parte degli estremisti del vecchio regime e pesanti azioni di rappresaglia dell’esercito di Kigali. Quasi un milione di morti, due rwmilioni di rifugiati e altrettanti sfollati per un territorio grande poco più del Piemonte con sette milioni e mezzo di abitanti prima del conflitto. Dopo la guerra e il genocidio il Rwanda è da ricostruire, umanamente e moralmente, prima ancora che nelle cose e nelle strutture.

Il Rwanda è oggi un paese in cui il 45,7% della popolazione sopravvive con meno di 1$ al giorno, l’età media della popolazione è di 20 anni , la popolazione rurale rappresenta il 92% del totale , il 43,1% dei bambini sotto i 5 anni soffrono di anemia e il 26,2% di malnutrizione . L’Indice di sviluppo umano (HDI), che tiene conto dei valori di speranza di vita media, di reddito pro capite e di livello di scolarizzazione, e che perciò è un indicatore più completo della situazione, posizionava nel 1997 il Rwanda al 174° posto tra le 175 Nazioni verificate dal Rapporto sullo sviluppo umano.

A seguito degli avvenimenti del 1994, un notevole numero di artigiani dell’area di Butare, che facevano riferimento al “Centro dei Mestieri” creato nel 1990 dalla cooperazione tedesca, non risultavano più essere attivi. I motivi principali di ciò dipendevano dal loro essersi rifugiati nei paesi limitrofi, oppure di essere scomparsi (morti o imprigionati); inoltre il Centro, luogo fisico di attività e identità degli artigiani era andato distrutto.

Per rilanciare l’attività degli artigiani dell’area nel settembre 1996 è sorto un progetto sostenuto dalla GTZ (Cooperazione Tecnica Tedesca) che ha permesso la costituzione nell’agosto del 1997 della COPABU (Cooperativa dei produttori artigianali di Butare), con i seguenti obiettivi:

  • promuovere la vendita dei prodotti artigianali dei suoi membri
  • fare conoscere i diversi mestieri presenti sull’area
  • sostenere gli artigiani affinchè venga fissato il miglior prezzo possibili alle loro merci
  • organizzare fiere periodiche

Dopo il genocidio, la Caritas Italiana era intervenuta in Rwanda con un programma d’urgenza che ha permesso di riabilitare quasi il 50% del settore sanitario. Un’equipe di operatori fino a tutto il 1999 è stata presente nel paese per sostenere attività in favore dei bambini di strada, dei carcerati (oltre 130.000) e piccoli progetti agricoli, di allevamento e di costruzione di case.

Nel 1998, grazie alla presenza a Kigali di Maurizio Marmo quale referente del Programma Grandi Laghi della Caritas Italiana, ma anche fondatore dell’associazione Sottosopra di Sanremo, attiva nel commercio equo e solidale, è stato possibile avviare il contatto che si sarebbe poi concretizzato nel progetto di gemellaggio.

Un prima missione nel febbraio del 1999, grazie anche al contributo del Comune di Genova, ha reso possibile la conoscenza reciproca tra La Bottega Solidale di Genova e la Copabu di Butare e la stesura di un primo documento d’accordo finalizzato a facilitare l’accesso ad un nuovo mercato estero per i prodotti degli artigiani e delle artigiane della Prefettura.

Ottobre 1999 : arriva il primo container di prodotti ruandesi, reso possibile dalle prenotazioni di circa 70 botteghe del mondo di tutta Italia. Per la Copabu un aumento di fatturato del 60% rispetto all’anno precedente, per i consumatori delle botteghe un nuova opportunità di acquisto di prodotti africani e di informazione attraverso il materiale informativo che accompagna gli oggetti.

Ci sembra importante richiamare, nelle motivazioni del progetto, quanto scritto dalla giornalista Colette Braeckman “Ogni volta che hutu e tutsi lavorano fianco a fianco, facendo sorgere dalla terra un’altra casa, è anche il nuovo Rwanda che si costruisce”. E ancora, tratto da uno scritto di Andrè Sibomana, sacerdote direttore della rivista Kinyamateka, scomparso nello scorso marzo: “Dobbiamo riapprendere a vivere insieme. Alcuni diplomatici – pensando senza dubbio che non saremo mai più capaci di coabitare – hanno suggerito la creazione di un Hutuland e di un Tutsiland. Questa idea non è soltanto stupida; è assai nefasta. Al di là del fatto che questa divisione dei Rwandesi sarebbe una magnifica vittoria degli apostoli del razzismo, credo che non sia dividendo o spostando i problemi che li si risolve. Al contrario.”

Il progetto ha anche questa ambizione: sostenere una sfida voluta dagli artigiani che hanno costituito COPABU e da coloro che, come la Caritas, si impegnano a livello locale per promuovere incontri tra le vedove del genocidio e le donne i cui mariti sono incarcerati perchè accusati del genocidio. Una sfida che sembra impossibile da vincere, ma che ha bisogno anche dei più piccoli segnali per andare avanti.

copabu

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.