Sindrome di down: quali risorse? Per quali prospettive?

ROMA, venerdì, 12 ottobre 2007 (ZENIT.org).- In vista della Giornata Nazionale della Persona con Sindrome di Down, che si celebrerà il 14 ottobre, pubblichiamo il testo dell’intervento pronunciato da Sylvie de Kermadec, Direttrice dell’Istituto “Jerome Lejeune” di Parigi, in occasione del Corso di aggiornamento tenutosi a Siena, il 9 ottobre 2004.

L’intervento è stato successivamente inserito nel volume “La risorsa down. Uno sguardo positivo sulla disabilità” a cura di Carlo Valerio Bellieni, e con la presentazione di Eugenia Roccella (Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2005).

LA TRISOMIA 21 (DOWN SYNDROME):
QUALI RISORSE? PER QUALI PROSPETTIVE?

Da sempre, il ritardo mentale ha interrogato la società umana. Paesi o continenti differenti, religioni, periodi storici, tradizioni culturali hanno attribuito a coloro che non avevano né le stese capacità intellettuali né lo stesso aspetto, dei posti diversi. In numerose società, in effetti, le persone colpite da ritardo mentale, in particolare la trisomia 21, sono stati considerati come dei portafortuna per la comunità. Ovviamente tali persone non partecipavano alla caccia, al raccolto, al lavoro nei campi. Non portavano alla comunità alcun bene materiale, e non erano neanche responsabili della propria sopravvivenza.

Tuttavia, avevano il loro posto nella società, posto prezioso e importante: nelle epoche in cui la superstizione, le credenze, il soprannaturale o la magia avevano molta importanza, chi aveva il potere di allontanare il male dalla comunità era particolarmente apprezzato. Il valore della sua vita era grande. Ed era non solo protetto, ma accudito: chiunque aveva il dovere di procurare a questo “inviato” il nutrimento, alloggio, vestiti. La collettività riconosceva, in qualche modo, il suo ruolo sociale positivo e in controparte, si organizzava per fornirgli le risorse necessarie.

Conoscendo le formidabili capacità di amicizia, di dimostrazione d’affetto di questi pazienti, possiamo immaginare che questa situazione di “amato” doveva colmarli di contentezza. E dunque renderli ancora più espansivi e gioiosi. Possiamo immaginare che a loro volta loro stessi rendevano i loro concittadini più gioiosi e dunque più felici? E che, infine, questo ruolo di “portatore di felicità” non era usurpato?

Certo, questa situazione di privilegiato non appartiene più agli andicappati mentali. In altri periodi, sotto altre latitudini, essi sono stati squalificati, considerati come un fardello per coloro che ne avevano la responsabilità. Quindi sono stati cacciati via, poiché divenuti soggetto di vergogna, in ragione dei loro limiti, certo, ma anche in ragione della loro non-produttività. Allorché il criterio di importanza sociale si riduce alla ricchezza materiale, guai a chi non ha da dare che gioia e amore.

Cosa accade nella nostra epoca, in Europa? Le situazioni sono molto diverse da un Paese all’altro. Prenderò due esempi: i Paesi scandinavi e la Francia. Voi mi direte come è la situazione in Italia. Nei Paesi scandinavi è sorprendente vedere il basso numero di interruzioni terapeutiche di gravidanza, su diagnosi di trisomia 21. Tuttavia, questi Paesi sono stati i primi in Europa ad accettare le interruzioni volontarie di gravidanza, e si sarebbe pensato che in questo “clima” , in caso di patologia, la decisione dei genitori fosse di terminare così la gravidanza.

Ma quando si annuncia a una futura madre che il bambino che lei attende è trisomico, il riflesso naturale è di mobilitare i servizi sociali, le associazioni e le strutture mediche specializzate per organizzare una accoglienza del bambino. Esiste una vera e propria politica di accoglienza e di cura per tutta la vita delle persone handicappate mentali: lo Stato ha organizzato le strutture e spende le risorse necessarie per la vita, per reti di sostegno alle famiglie, per la formazione di personale specializzato, e si prende carico dei bisogni di questi malati. La vita di queste persone essendo così organizzata dalla società che ne riconosce implicitamente il diritto ad esistere, il problema di non lasciarli nascere non si pone. Non è il “riflesso” naturale.

Possiamo dunque dire che dalle risorse che lo Stato (la società) ha deciso di riservare agli andicappati dipende l’atteggiamento positivo e accogliente delle famiglie verso l’handicap e l’andicappato, soprattutto mentale. In Francia, purtroppo, la situazione è ben diversa. La trisomia 21 è stata scoperta negli anni 50 dal professor Lejeune, che cercava di comprendere la causa della sindrome Down. E’ interessante notare che egli fece per la prima volta nella storia dell’umanità la diagnosi di una malattia genetica.

E’ una scoperta recentissima, e tuttavia, ora, nelle nostre discipline, quasi tuto è “genetico”! Nel nostro Paese da molto tempo la nascita di un bambino con trisomia 21 o colpito da un altro ritardo mentale è vissuta dai genitori come una prova terribile. Vedere il proprio bambino irrimediabilmente limitato nelle sue capacità, nelle sue possibilità di evoluzione o di inserimento nella società, sapere che rischia di essere rigettato, e che la sua presa in carico sarà molto difficile da organizzare, e sempre più problematica con l’andare degli anni., tutto questo distrugge i genitori, in modo ben comprensibile.

A tutto ciò si aggiungeva, prima della scoperta del prof Lejeune, un profondo senso di colpa, poiché l’opinione comune era che questa anomalia era una colpa grave dei genitori (tradimento, infedeltà…). Questa parte della loro prova può ora essere loro risparmiata, e i progressi della scienza sono loro stati benefici. Ma sono stati benefici per i bambini? Avremmo immaginato che più si progredisce nella conoscenza della malattia e dei suoi meccanismi, più le possibilità di miglioramento della loro stato sarebbero aumentate.

Non è stato così. Al contrario, le conoscenze dei segni di malattia sono stati utilizzati per fare una diagnosi sempre più precoce prima della nascita, e ciò nella speranza di sopprimere un giorno la nascita di tutti i bambini trisomici. Le ecografie, 3 raccomandate e rimborsate in Francia per ogni gravidanza normale, hanno per obiettivo maggiore per le prime due l’individuazione della trisomia 21. Il costo della gestione di queste ecografie è molto alto. Ma esse hanno altri vantaggi, positivi per la madre (rassicurarla) e per il bambino (permettere in un certo numero di casi la gestione adatta i certe patologie).

Non è così per lo screening sistematico a tappeto dei rischi di trisomia, che non ha alcun effetto benefico sulla gestione del bambino. Questo screening è stato oggetto di una politica volontaristica dello Stato Francese dall’inizio della sua messa a punto nel 1988. ha per solo e unico scopo lo screening prenatale precoce per tutte le future madri, di un rischio aumentato di trisomia, e questo con l’obiettivo esplicito di condurre a interruzione di gravidanza in caso di diagnosi positiva.

I risultati parlano da soli: mentre gli studi demografici facevano prevedere nel giro di 10 anni un aumento di circa il 10% dei nati Down, soprattutto in ragione dell’epoca empre più tardiva dei concepimenti, l’incidenza della trisomia 21 si è in realtà dimezzata, passando a 1/1500 nascite. Oltre al costo finanziario dello screening (3 dosaggi, interamente a carico dell’assicurazione malattie), esso ha anche un costo in termini di perdite di bambini sani, dato che quando il rischio è di 1/250 viene proposta l’amniocentesi, causa di abortività.

Abbiamo anche calcolato che su 550.000 test realizzati in un anno (su 750.000 gravidanze), il 10% delle donne avevano avuto un’amniocentesi, con circa 550 perdite fetali, mentre erano state diagnosticate 280 trisomie, cioè solo 2/3 delle totali! Dunque, ogni 2 bambini trisomici diagnosticati, uno non lo è, e 4 sani vengono persi. Non esiste un altro esame così poco attendibile e con un tasso di complicazioni così elevato, tuttavia a tutti gli ostetrici viene imposto di proporlo a tutte le donne incinte… Nello stesso tempo, parallelamente a questi enormi spese, a queste risorse utilizzate per eliminare i bambini non nati affetti da trisomia 21, quali sono le risorse attribuite alla ricerca per migliorare questa malattia? In Francia, nessuna. Lo Stato non sovvenziona nessun programma di ricerca terapeutico per questa malattia.

Il maggior finanziatore della ricerca sulla trisomia 21 è una Fondazione privata, che funziona grazie alle donazioni: la Fondazione Jerome Lejeune, che l’anno passato ha distribuito più di 1 milione di Euro per sostenere la ricerca clinica e epidemiologica. E’ interessante notare che il primo anno, 7 anni fa, l’appello di offerte internazionale lanciato dalla Fondazione ha generato 3 risposte. Noi facciamo ora 2 appelli di offerte all’anno, e per l’ultimo abbiamo ricevuto 82 domande… prova che l’attribuzione di risorse ha permesso di orientare la ricerca verso un tipo di patologia finora trascurato.

La nostra struttura, l’Istituto Jerome Lejeune, è finanziato in parte dalle autorità di tutela. Il nostro Istituto, centro di riferimento per le malattie genetiche dell’intelligenza, può offrire un follow-up multidisciplinare per tutta la vita. Ma sono le donazioni private che ci permettono di aiutare i nostri pazienti e le loro famiglie, per il follow-up medico, la prevenzione delle complicazioni e il sovra-handicap, il follow-up psicologico, ortofonico, neurologico, ginecologico, sociale. Per tutti i programmi di ricerca clinica terapeutica e epidemiologica.

Qual è l’impatto di questa politica volontaristica di screening sullo sguardo che si ha sui malati trisomici, sui neonati, sui genitori (numerosi, e di tutte le religioni ed etnie) che scelgono di mettere al mondo e di amare il loro bambino, malgrado la sua patologia, i suoi limiti e la loro tristezza? Come potrebbero non sentirsi rifiutati, colpiti sia i genitori che i malati? In Francia abbiamo avuto per molti anni di seguito, durante congressi di genetica clinica, brillanti esposizioni sul costo per la società della vita di un malato trisomico. E il calcolo in parallelo delle risorse da attribuire allo screening.

Abbiamo anche temuto che si finisse per rifiutare i rimborsi e la cura ai genitori che scelgono di far vivere il loro bambino, “imponendo così un costo alla società”. Il valore della vita di una persona handicappata… si può immaginare di ridurla a una soma di costi? Il valore della vita non è infinito? Quale madre o medico vorrebbe calcolare il costo del trattamento di una leucemia acuta per un bambino, compararlo alle possibilità di guarigione, e dedurne se si deve trattare o meno il bambino…

Tuttavia, c’è molto da fare per questi pazienti e per le loro famiglie: Sensibilizzare i professionisti sul modo di svelare la diagnosi: è la prima misura terapeutica, e la più essenziale, quella da cui va a dipendere la vita di tuta la famiglia. Permettere ai genitori di ottenere da équipes specializzate tutti i consigli e spiegazioni di cui hanno tanto bisogno. Seguire il paziente nel corso della vita, facendo da legame con tutti i professionisti che lo prendono in carico. Sostenerlo psicologicamente, così come i suoi genitori, fratelli e sorelle. Valutare non i suoi limiti ma le sue capacità, e proporre un programma per sviluppare e utilizzare tutte queste capacità. Controllare i problemi di crescita e evitare i sovra-handicap. Aiutare l’orientamento ai grandi momenti della vita. Poter accordare il tempo necessario a ogni consultazione (almeno un’ora, spesso di più…).

Informare le famiglie, formare i professionisti, condurre i poteri pubblici a migliorare la presa in carico… E poi fare ricerca, con l’obiettivo di poter un giorno agire sul ritardo mentale: è possibile. L’aspettativa di vita era 10 anni fa una trentina d’anni. Tende ora a raggiungere quella della popolazione generale, grazie al progresso della medicina e alla precocità della presa in carico adattata. Questa ha inoltre un riflesso maggiore sulla qualità della vita e le possibilità di sviluppo, da cui l’integrazione sociale. Si , si può agire.

Il terzo cromosoma comanda le sintesi proteiche per cui è programmato. Queste proteine sono normali, ma sono secrete in eccesso, provocando turbe metaboliche i cui il ritardo mentale è un risultato. Se si riesce a inibire questo “sovraccarico”, si potrà diminuirne o anche sopprimerne gli effetti negativi. E’ possibile: nel caso della fenilchetonuria, per esempio, la conoscenza dei meccanismi fisiopatologici ha permesso di mettere a punto un trattamento, la dieta, e il ritardo mentale è stato eliminato.

Un trial terapeutico con supplementazione di acido folinico nel bambino è appena terminato, ma ancora non abbiamo strumenti sufficientemente efficaci per apprezzare il deficit mentale e le sue variazioni con abbastanza precisione, cosa che altera considerevolmente l’interpretazione dei risultati. La messa a punto di metodi di valutazione adatti a questa patologia è uno dei nostri obiettivi maggiori a breve termine. Altri studi sono in progetto o in corso, per i quali apprezzeremmo delle nuove collaborazioni. Organizziamo a Parigi l’8 e il 9 novembre un congresso internazionale il cui presidente è Stylianos Antonarakis, coordinatore del consorzio di ricercatori che ha sequenziato il cromosoma 21.

Il tema del congresso è fare il punto sulle diverse ricerche, fondamentale, sperimentale e clinica, nell’ottica di scoprire piste per il trattamento di malattie genetiche dell’intelligenza. Ci teniamo a questo termine: il comportamento di un medico di fronte ad una malattia è fare la diagnosi per poi curarla. Il termine “malattia genetica dell’intelligenza” sottende già il rispetto del malato e l’obiettivo di trattare la malattia. E dato che siamo certi che è possibile interferire con le perturbazione metaboliche scatenate dalla presenza del terzo cromosoma 21, e dunque agire sul ritardo mentale, l’Istituto ha iniziato un grande programma di ricerca per mettere a punto un nuovo farmaco che mira a inibire l’eccesso di cistationina beta sintetasi. E’ un progetto che durerà almeno 10 anni, certamente pieno di rischi… Ma chi non cerca non trova.

Ora questi malati, come tutti gli altri malati, hanno bisogno che noi, medici, professionisti della sanità, mettiamo la nostra energia e risorse a loro servizio per curarli e un giorno guarirli. Le loro famiglie hanno bisogno che noi ridiamo loro speranza e fiducia. E la nostra società che ha dimenticato che l’amore era forse più importante del denaro, ha bisogno di essere aiutata a reimparare a rispettare e amare quelli che non hanno “altro” che la loro debolezza e il loro sorriso da offrirle.

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