Cinema di gente per bene e l’agonia dell’Accademia MARUBI

Scritto da Antonio Caiazza

Antonio CaiazzaDa alcuni giorni seguo l’agonia dell’Accademia “Marubi” di Tirana attraverso il diario di Flavio Costa che AlbaniaNews sta pubblicando quotidianamente.

Nell’ultima cronaca, quella del 26 ho letto qualcosa che temevo di poter prima o poi leggere.

L’arrivo della polizia, sabato 21 febbraio, all’interno del Kinostudio, è l’ultimo atto di una battaglia lunga, una battaglia che il regista Kujtim Cashku iniziò a metà degli anni ’90 ed ha continuato a sostenere, ininterrottamente, fino ad oggi. Una battaglia per cosa? Una battaglia per far vivere una Scuola di cinema.

E’ una scuola didatticamente valida? Lo è. E’ una delle migliori esperienze di questo tipo in Europa. Per essa si sono spesi Governi, fondazioni, festival, registi ed esperti di cinema di Europa e Stati Uniti. E basterebbe solo dare uno sguardo all’elenco dei docenti della “Marubi”, e alle sue iniziative, il Festival internazionale del cinema sui diritti dell’uomo, ad esempio, quasi una rarità in un panorama di festival tutti uguali, tutto l’uno fotocopia dell’altro.

Nel diario del 26 febbraio Cashku è scoraggiato, stanco, disilluso. “Dove troverò la forza di credere ancora alla scuola e al bene di questa nazione se il governo da un giorno all’altro ha il potere di togliermi tutto?”, dice Cashku: ecco cosa temevo, che per la stanchezza, per lo sfinimento si arrendesse.

Ho incontrato Kujtim a Trieste, la mia città, in gennaio. Era qui come giurato del Trieste Film Festival (qui, due anni fa, il suo “Magic eye” aveva ricevuto il premio del Segretariato dell’Ince, l’Iniziativa centro europea), e con lui c’erano cinque studenti della “Marubi”.

“Come va la tua Scuola, Kujtim?”, gli ho chiesto. Credevo fosse una domanda innocua, ed invece Kujtim con frasi veloci, con parole che gli venivano dal cuore mi ha portato dentro un dramma, che è anche privato, intimo.

“Mio figlio tanti anni fa aveva avuto l’opportunità di stabilirsi in Francia. Sento la responsabilità di averlo indotto a tornare a Tirana per lavorare a questo progetto della scuola. Ogni tanto in casa mi chiedono cosa ci ha dato questo progetto, dove ci ha portato… quanti film faccio… Non faccio più film ormai, perché la mia vita, il mio lavoro è tutto in questa scuola. La nostra casa è sempre quella che avevamo in passato, non l’abbiamo cambiata come hanno fatto tanti, non l’abbiamo fatto perché non possiamo permettercelo…”. Poi si è scusato per questo sfogo, l’ha considerato una debolezza e ha cambiato argomento.

Kujtim Cashku ha lavorato alla creazione della “Marubi” quando tutto in Albania si sfasciava, crollava, cadeva nell’abbandono. Tutto. Le fabbriche, le miniere. Le scuole. Gli ospedali. Tutto. Lui sapeva fare film, e sapeva far bene il suo mestiere. Avrebbe potuto continuare a vivere di cinema se fosse andato via. Avrebbe forse potuto evitare la sorte toccata a tanti intellettuali e professori universitari in quegli anni: diventare camerieri in mezza Europa, dimenticare i libri letti e studiati, mettere una pietra sulle ambizioni e portare pizze ai tavoli. Aveva ricevuto qualche buona offerta dall’estero.

Ma rimase. E rimase per mettere in piede la “Marubi”. Una scuola. Desiderava semplicemente che l’arte del cinema in Albania non si perdesse. Le macchine da presa, i proiettori, i fari del Kinostudio venivano già venduti alle fonderie come ferro vecchio. Come il rame dei cavi elettrici. Lo spazio immenso della piccola “Cinecittà” di Tirana era utilizzato come discarica; davanti alla palazzina degli uffici erano accatastate le auto distrutte dagli incidenti stradali.

In questa disperazione è nata la “Marubi”, oggi apprezzata in tutto il mondo.

Ho letto che sabato 21, quando la notizia dell’arrivo della polizia si è diffusa, lì sul posto è giunto l’ambasciatore della Germania. Serve aggiungere altre parole per dire quanto la “Marubi” sia considerata fuori dall’Albania?

E’ giusta la riflessione che fa Flavio Costa nel suo diario, gironzolando fra gli ettari si spazi vuoti del Kinostudio, aree ancora oggi usate come discariche. Ma perché sottrarre proprio il giardino della ‘Marubi’, per farci un parcheggio? Perché non lasciare in pace gli studenti, e realizzare altrove il progetto? Lo spazio non manca, è abbondante, enorme. Allora perché? mi chiedo.

Lo so, c’è una sentenza di un tribunale. Ma credo che ci sia anche dell’altro, e cioè un accanimento contro qualcosa che rappresenta una delle facce migliori dell’Albania. E che rappresenta qualcosa di “bello”, di pulito.

La questione è nelle mani del Governo albanese. Basterebbe un suo gesto per ridare fiducia alla gente della “Marubi”, al suo direttore, ai docenti albanesi e stranieri, agli studenti. Sarebbe un gesto di civiltà. Un gesto che il mondo della cultura, in Albania ed in Europa, si attende e che apprezzerebbe moltissimo. Lasciate a questa gente la possibilità di fare in pace e in serenità ciò che fanno. Perché ciò che fanno fa onore all’Albania, senza costare un solo lek alle casse dello Stato albanese.

Antonio Caiazza è autore del libro “In alto mare. Viaggio nell’Albania dal comunismo al futuro”, in cui un capitolo intitolato “Cinema di gente per bene”, dedicato all’Accademia di cinema “Marubi”.

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