Aspettando Ayala

Il maxiprocesso e la mafia sottile

Testo di Giuseppe Ayala (intervista)

L’8 novembre a Guardiagrele

Il maxi-processo iniziato a Palermo il 10 febbraio del 1986 ha coinvolto 475 imputati e ha rappresentato l’acmè della lotta alla mafia. Prima e soprattutto è consistito nella verifica giudiziaria di cosa fosse la mafia. Ancora oggi quando si cerca di definire questo complesso fenomeno si ricorre ai verbali del maxi-processo. 

Del ’93 la Mafia si è inabissata. Senza omicidi è calata la visibilità del problema, è noto che i riflettori si accendono in casi di particolare violenza e prima del maxi-processo l’allarme sociale per omicidi e guerre di mafia era davvero alto.

Certo, è positivo che negli ultimi 13 anni cose simili non si siano più ripetute, ma anche adesso, mentre parliamo, quantità di denaro e partite di droga vengono scambiate e quindi la mafia c’è ancora, ma non è visibile. La sensibilità e l’impegno, dunque, si sono rarefatti, ma non si tratta propriamente di un disegno politico.

L’amara idea di fondo è che pressioni e reazioni sono direttamente proporzionali e che, purtroppo, l’agenda dell’antimafia la fa la mafia.

Certo, la mafia non può non avere rapporti con la politica, sia al momento delle elezioni che nel corso delle legislature, ma non si deve generalizzare: non tutti i politici sono collusi, non interi partiti.

Dire che “tutto è mafia” è pericoloso, perché è come dire che “niente è mafia”: non si risolve il problema, che non è solo giudiziario ma soprattutto politico. Di certo la mafia non ha interesse ad andare all’opposizione e la politica finisce per esserne sottilmente e diffusamente condizionata. La mia convinzione personale è che la mafia si combatte in Sicilia ma la battaglia si vince a Roma.

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